domenica 28 ottobre 2012

Una città


 Una città

 

In questa città si può arrivare in due modi, con il treno e in macchina; con l’aereo no, l’aereoporto è lontano, fa parte proprio di un’altra provincia, anche se le compagnie aeree si ostinano a scrivere e avvisare il pubblico che la destinazione finale è la città.

Con il treno, si impiega più di mezzora per percorrere meno 20 km dall’ultima stazione. Da questa

 resta da percorrere una  striscia di terra, è sicuramente una gradevole passeggiata, ma solo per chi ha tempo da perdere. Infatti quì sembra di entrare in un altro mondo, tornare indietro in un altro secolo: il treno va lento su una vecchia linea costruita forse più di un secolo fa, e si ferma in antiche e deserte stazioncine, dove non sale e non scende nessuno

Con l’autostrada è un’altra cosa, ci si trova all’improvviso davanti al mare e ci si immette su una bella strada costiera, che però devi percorrere stando attento ai limiti di velocità, tra i 50 e al massimo gli 80, per cui ci metti più tempo che col treno.

Però lo spettacolo merita: lungo la strada d’ingresso in città, quand’è estate, vedi gente di ogni età  in mutande,  si svestono e  si rivestono in strada, senza problemi,  persone stese come lucertole al sole, sulle terrazze e perfino sui  marciapiedi del lungomare. Distratti dall’inconsueto spettacolo, si corrono seri rischi di tamponamenti..

Il punto di arrivo, con il treno o con la macchina è lo stesso: la stazione ferroviaria, costruita nella seconda metà dell’800, e rinnovata da qualche anno.

Siamo a Trieste, famosa solo per la bora, d’inverno ne parlano tutti i telegiornali, Trieste è l’ultima fermata, oltre non c’è più niente, è finita l’Italia, c’è il confine che una volta era chiuso, oggi si passa senza alcun controllo..

Trieste è diventata italiana nel 1918, neanche un secolo fa, e successivamente nel 1954, quando il GMA, il governo militare alleato cedette i poteri alla amministrazione italiana.  Qui arrivarono i bersaglieri per ben due volte, altro che Porta Pia.

Trieste è antica, prima era Tergeste, piccola colonia romana del I° sec. a.c., raccolta intorno al colle di S.Giusto, luogo di brevi soste e di passaggio da e per le regioni dell’Istria – un pò come per i turisti di oggi che si fermano, guardano, stanno due o tre giorni e vanno via -,  per i ricchi romani che andavano e venivano dalle ville in Istria e Dalmazia.

I pochi abitanti, che vivevano nel piccolo, ma già pensavano in grande –  oggi l’atteggiamento non è cambiato -  si costruirono il loro teatrino, e altri edifici, come testimoniano i reperti archeologici.

La città più importante dell’area era, invece, Aquileia, fondata proprio per presidiare il territorio di confine e poi sede di importante Patriarcato, per non parlare poi, di Venezia.

Con la Repubblica di S. Marco, il libero Comune medioevale di Tergeste ebbe diversi conflitti e non volle cedere, preferendo, nel 1382,  “darsi” al Duca di Asburgo d’Austria.

La città non ebbe una grande storia, restò una piccola realtà marinara fino al 1718, anno in cui fu creata, dall’imperatrice Maria Teresa  - che ancora oggi molti rimpiangono insieme a Francesco Giuseppe -, la zona franca extra/doganale, il Porto franco.

Solo così affluirono capitali, la città  crebbe economicamente e crebbe anche la popolazione. La piccola città si allargò oltre le mura, fu creato quello che oggi è il borgo Teresiano, Ponterosso, Piazza Unità, le Rive, e via fin dove è oggi la stazione ferroviaria e il porto, oggi detto vecchio.

Per due secoli la città progredì, diventando il porto commerciale più importante dell’Alto Adriatico, per il fatto di essere l’unico favorito da Vienna anche rispetto a Fiume, Pola e alla stessa Venezia.

Nel  1918, la caduta dell’impero asburgico e l’annessione al regno d’Italia rappresentarono sì la conclusione del risorgimento nazionale e dell’irredentismo, ma – secondo molti - anche la rovina economica della città, che da unico porto dello stato austriaco dovette rinunziare al primato e adattarsi a condividere i suoi commerci con gli altri porti italiani.

Per non parlare poi delle conseguenze della sconfitta italiana dell’ ultima guerra, il taglio di tutti i territori circostanti, l’occupazione delle truppe anglo-americane, il confine con il blocco sovietico e la Jugoslavia, la divisione in zona A e zona B.

Nel 1954 la città fu restituita all’Italia:  Trieste occupò soltanto una striscia di terra stretta tra il mare e il Carso, senza altro territorio che la sola città, di fede nazionalista e comunque destrofila, e quattro paesotti bilingui, legati al regime jugoslavo.

Da qui, conflitti continui tra destra e sinistra, tra partigiani e ex fascisti, le foibe e gli esuli istriani e dalmati. Questi ultimi continuano ancora oggi – in verità sono soltanto i loro figli o nipoti – a reclamare la restituzione dei cosiddetti “ beni abbandonati”..

La città nutre oggi rimpianto per l’Austria, verso la quale c’è una vera e propria adorazione e l’idea, forse non errata, che con  l’Impero si stava meglio. Per questo è l’ unica città italiana che dedica monumenti a chi governava prima dell’Unità, c’è la statua di Sissi, l’imperatrice moglie di Francesco Giuseppe, e quella di Massimiliano d’Asburgo, sulla cui collocazione si sono sviluppate lunghe e noiose discussioni e polemiche.

Il confine, tutto sommato, contribuì però, anche a una crescita economica.

Già, perché in città presto si creò un grosso mercato destinato ai paesi dell’Est, da li venivano e compravano tutto, dall’abbigliamento ai ricambi per motori,  per auto, mentre per le carni , le sigarette e la benzina erano i triestini – e non solo - che andavano a far acquisti oltre confine, e a pranzo e cena spendendo poco, con il vecchio dinaro jugoslavo..

A Trieste, al mercato di Ponterosso, si sono create grosse fortune, commercianti anche improvvisati, su bancarelle vendevano  di tutto e di più, generi di bassa qualità a cittadini dell’Est europeo che il sabato mattina invadevano la città.

Con la dissoluzione della “Jugo”,  e la creazione degli Stati nazionali – Slovenia, Croazia, Serbia -, nei primi anni ’90, Trieste perdeva ancora una volta economicamente, il commercio iniziava la fase discendente, adesso sono i Triestini ad andare in Slovenia a far spese in quei centri commerciali, per non parlare del porto superato, ben presto, dall’attivismo di quello di Koper.

Il Porto Vecchio, dove è il punto franco, è una antica struttura composta da banchine e moli, da grandi depositi e magazzini di carico e scarico, adiacente la stazione ferroviaria, che funzionava con un sistema integrato mare/terra, navi e treni che si spostavano poi lungo le rive, fino agli altri moli. E’ una grandiosa area demaniale, recintata, 70 ettari, sui quali litigano tutti, Demanio, Ferrovie, Sovrintendenza, Autorità portuale, Comune e Provincia e anche la Camera di Commercio, e ognuno ha la sua proposta di riutilizzo.

Vivo a Trieste da più di 30 anni e nulla è cambiato, però la fantasia di  sindaci, di assessori, di presidenti di Enti e Regione, di consiglieri di ogni ordine e grado, e ovviamente del  presidente della camera di commercio – che è sempre presente come il prezzemolo -, si esercita sull’argomento con le più disparate  e strampalate proposte. Al contrario c’è chi invece non parla, non commenta, non compare neppure ma blocca tutto inserendo i suoi uomini e le sue donne nei posti chiave dela città, come ad es. l’Autorità portuale.

Alla fine, resta soltanto uno spazio rubato alla città; forse  basterebbe solo aprirlo al pubblico  e farne un lungomare per passeggiare, o per stabilimenti balneari o, magari, un parcheggio, visto che attualmente sembra che molti ne usufruiscono abusivamente, e nessuno fa una contravvenzione per divieto di sosta. ”Porto vecchio caos sui posteggi abusivi”, titola il solito quotidiano:  non c’è chiarezza sulle multe da applicare “ per la capitaneria vige il codice della strada, per l’Authority bretella ancora demaniale”. Mah!!

L’unica cosa che è stata fatta nel Porto vecchio è dovuta a  un estraneo, a uno di fuori Trieste, a Vittorio Sgarbi, che come curatore della Biennale di Venezia ha inventato la “ biennale diffusa ” e ha letteralmente “imposto” anche a questa città l’utilizzo di un vecchio magazzino del porto, e la Regione  e l’Amministrazione comunale sono state costrette a sistemare e ad aprire, in fretta e furia, l’area, da anni, nascosta ai cittadini.

Il punto franco dovrebbe richiamare operatori commerciali da fuori, che sono stati e probabilmente sarebbero gli unici a portare una ventata di novità e soprattutto di attivismo.

Venivano da fuori quelli che in passato fecero crescere la città” secondo il sociologo A Gasparini, ”la crescita economica, commerciale e anche sociale della città fu costruita “ dal governo di Vienna, che creò con spirito concreto e illuminato le condizioni ideali per un porto efficiente- da il Piccolo del 19 dicembre 2011 -…..infrastrutture, tecnologie, porto franco, ecc….ogni cosa arrivò dall’esterno….. Trieste, resa grande in passato da chi arrivò da fuori, rimasta poi svuotata di progetti, ma ancora convinta di essere  il centro del mondo”.                    

L’ apertura provvisoria del porto vecchio, ancora oggi viene presentata come una grande conquista, e addirittura merita la prima pagina del quotidiano locale la  sua proroga, mentre è del 25 settembre 2012 la notizia: “ Daremo l’ultima spallata al porto vecchio”, per restituirlo alla città. Sono le ultime parole famose del Sindaco!

E’ del 29 settembre 2012- infatti - la marcia organizzata dal Sindaco per riappropriarsi dell’area del porto vecchio, un migliaio di persone, insieme al sindaco e a qualche parlamentare locale, ma hanno trovato i cancelli chiusi! Sono seguite le solite polemiche con l’Autorità portuale ritenuta responsabile della chiusura.

La classe politica di questa città vivacchia e, in generale, non sembra contare molto a livello nazionale, superata di gran lunga dagli odiati cugini friulani.

Attualmente Comune e Provincia, caso stranissimo perché Trieste è stata ed è una città di destra, sono rette dal centrosinistra.

Quando non sanno più cosa dire, tutti, politici e non, si riempiono la bocca della parola “Mitteleuropa”, la città mitteleuropea”. Cosa vuol dire? Si paragonano a Vienna, Berlino o Parigi! L’ultima è questa sempre estratta dal solito giornale, del 26 settembre 2012:” Trieste, Parigi, Londra , Mosca, la passerella delle gallerie…..”..

La classe politica locale affronta questioni “importanti”: oltre a quelle già dette sulla collocazione di un paio di statue, si è occupata dell’abete natalizio da sistemare in piazza grande.

Dalla cronaca dello storico quotidiano della città, “il Piccolo” di giovedi 1° dicembre 2011: “…L’albero della discordia – quello alto appena 13 metri che aveva sollevato polemiche – e delle polemiche “politiche”,  originario dei boschi di Sappada, verrà ricollocato altrove, come assicura l’assessore comunale……che spiega inoltre: in piazza Unità ne sistemiamo uno più folto , concesso dalla Regione”.

Dichiarazione del Sindaco: “ Trieste avrà la sua bella piazza con un bell’albero illuminato, come Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Berlino-…..” Di nuovo il confronto con le metropoli europee, veramente fuori luogo, e ancora una volta la dimostrazione di come qui “vivono in piccolo e pensano in grande”.

Trieste  è  una città pulita? Mica tanto!

La raccolta differenziata è stata pensata e avviata da poco, dal 2011, ma non si fa il porta a porta,  la città è stata riempita di piccoli e grandi cassonetti che però spesso non vengono ripuliti.

Dalla cronaca del Piccolo del 15 ottobre 2011:“ lo spazzino pure lui suonerà due volte. Due volte ogni quattro giorni, però, almeno nel caso dell’addetto all’indifferenziata……Il giorno si e l’altro no riguarderà la vuotatura della maggior parte di quei grandi cassonetti da 3.200 litri dislocati, di norma, nelle cosiddette isole ecologiche……Ha dato dunque questo responso la sperimentazione avviata nelle passate settimane….”

Il 18 dicembre 2011, sempre su il Piccolo si legge che” non è mai partita la massiccia(?) campagna informativa che avrebbe dovuto raggiungere tutte le famiglie……i cittadini non ancora ricevuto il materiale previsto……soprattutto il pieghevole con tutte le istruzioni per l’uso…” ancora oggi sto aspettando di ricevere istruzioni sull’argomento. Però Trieste è una città mitteleuropea, vuoi mettere?

Dal solito quotidiano del 29 dicembre 2011, grande titolo: ” Differenziata, meglio Napoli” ( Napoli  ringrazia), e poi nell’articolo:  la chiamano differenziata spinta, ma di spinto non ha proprio niente. Di osceno ci sono le percentuali ferme ancora al 26% e lontane anni luce dal traguardo europeo del 65% da raggiungere entro il 2012………..Persino Napoli ..è riuscita a fare di meglio….” Oggi non è ancora cambiato nulla., anzi vengono scoperte anche qui discariche abusive di pneumatici e altro, compresa diossina e,,…

Dal solito – e unico – quotidiano cittadino, del 25 settembre 2012, Titolo: “ Ex valichi – i confini con la Slovenia - , 5 anni dopo degrado senza confini. ….In Slovenia non è così…” I bordi del piazzale che separa, anzi unisce, Italia e Slovenia, è cosparso di spazzatura.  Centinaia e cemtinaia di bottiglie taniche di plastica, sacchi, pezzi di elettrodomestici, escrementi. E ancora batterie d’auto, copertoni, resti di cibo, vetri calcinacci ecc…” In effetti non è necessario arrivare ai confini per trovare degrado e sporcizia, basta girare per le strade del centro storico, ma non quelle ben frequentate, quelle de salotto buono, sono quelle invece buie, nascoste, dimenticate, dove si trova di tutto e di più, dove si sente l’odore nauseante di urina animale e umana, di escrementi anche umani e di vomito di ubriachi.

Ovviamente tutto ciò non fa notizia a livello nazionale, ma se la stessa cosa succede a Napoli, Palermo o Roma, tutti i media scatenano la solita guerra.

E il 25 luglio di quest’anno  viene data notizia che “ parte l’operazione umido per la grande distribuzione ei ristoranti, saranno installati circa 300 super contenitori”.Da una lettera di un lettore triestino: “ Ho visto in piazza …. un cassonetto per i rifiuti indifferenziati pieno di cartoni. Accanto gli altri cassonetti di quell’”isola ecologica”, tra i quali ovviamente ce n’è anche uno  per la raccolta della carta, vuoto”.(21 luglio 2012)”

Non parliamo poi della suscettibilità di Trieste.

Molte polemiche suscitò in città, tempo fa,  ULISSE, la rivista dell’ALITALIA, che eccezionalmente parlava di Trieste: “la città che non sa ridere, il capoluogo è adatto a cacciatori di fantasmi ecc…” dove si voleva intendere che è un posto dove si vive di passato, “solo con quei due scrittori famosi, Italo Svevo e Umberto Saba, gli altri non esistono, uno è irlandese, James Joyce e l’altro è l’austriaco Raine Maria Rilke”. L’ offesa era gravissima. E il quotidiano locale perse una buona occasione per tacere e sentì il bisogno di attaccare – il 25 giugno 2011 – l’autore di quell’ articolo, che alla fine era stato letto dai pochi viaggiatori della compagnia aerea,  poichè  parlava “solo di luoghi comuni  e di stereotipi sulla città”. A mio parere, in quell’articolo e in quei luoghi comuni c’era molta verità.  

Dopo “Ulisse” c’è “URSUS”.  Non è un personaggio mitico, né il protagonista di film mitologici: è soltanto un reperto di archeologia industriale, io lo chiamerei un ferrovecchio, una antica gru posta su un pontone galleggiante, a mare, che probabilmente tanto tempo fa era utile nel porto. E’ venuta fuori una storia infinita e le solite polemiche per salvarlo dalla distruzione e addirittura qualcuno si spinse ad affermare che, conservandolo, Trieste avrebbe avuto la sua Torre Eiffel!

A Trieste si lavora e si osservano le regole, ma siamo sicuri?.

Ci sono addirittura “40” indagati per assenteismo, praticamente tutto l’ufficio, cioè impiegati  della Soprintendenza ai monumenti, che timbravano e poi uscivano, sembra dalle notizie di stampa, dal direttore all’ultimo tecnico, tutti filmati dalla G.d.F. Ma anche questa notizia resta a livello locale, mentre se capita che “uno o due” impiegati sono assenteisti a Roma, a Palermo o a Napoli, finiscono su tutti i giornali e le TV.

Anche qui la crisi si fa sentire, e le pochissime industrie stanno chiudendo o sono già chiuse con centinaia di lavoratori per strada; un discorso a parte meriterebbe la Ferriera, che da anni inquina l’aria e la salute di quelli che abitano nella zona, ma questo non è un caso nazionale come l’Ilva di Taranto. il Sindaco, anche oggi, fa inutili ordinanze per limitare i fumi, la proprietà se ne frega, e

Lo stesso sindaco dichiara: “ Ferriera già morta, subito un piano per guidare la fine”. 

Le uniche  eccellenze di questa città sono il Centro di Fisica di Miramare, che accoglie scienziati di tutto il mondo, poi l’Area di ricerca, e soprattutto,“i Matti” di Basaglia, lo psichiatra che abolì i manicomi e che ispirò tutta la attuale normativa in materia.

Anche nel settore dello sport non ci sono eccellenze. A Trieste si praticano molte attività sportive, dalla semplice corsa sul lungomare all’alpinismo, dal nuoto al basket, dalla vela – non per niente si svolge , ai primi di ottobre di ogni anni, la gara di vela detta la Barcolana – dalla scherma al calcio, ma, a quanto pare, i risultati non sembrano molto positivi.

Alla barcolana  c’è sempre una grande partecipazione: era iniziata in sordina tanti anni fa più come una festa del mare e della vela, alla quale poteva partecipare chiunque avesse una barchetta a vela, senza l’obiettivo di vincere alcuna gara. Davanti alla piazza dell’Unità si vedevano migliaia di barche e di vele, uno spettacolo visibile anche dal centro. Con il passare degli anni è diventata una vera e propria gara riservata ai professionisti della vela e alle migliori barche del settore, e un grosso affare turistico-commerciale.  

Trieste ha costruito un bellissimo stadio per il calcio, che può accogliere squadre di serie A e ha accolto anche qualche partita della nazionale.

Peccato che la squadra locale, la Triestina non è andata oltre la serie B, per riempire lo stadio la società ha usato fantocci e teloni dipinti.  Quest’anno, la società è fallita e per può caso si è iscritta i al campionato di Eccellenza.

Ma sopra ogni attività sportiva c’è la famosa – nella sola Trieste – società ginnastica triestina, un antico sodalizio,  al quale è stata anche intitolata la strada dove  è la sede. Anche qui, quando c’è stato il fallimento, c’è stata una lunga polemica sulla gestione del presidente, polemiche e denunzie.

In questa piccola città è difficile trovare un triestino doc, di almeno 3/4 generazioni, poiché in città sussistono varie popolazioni: italiani di ogni regione, sloveni, croati, serbi,, tedeschi, austriaci, ungheresi, greci, ebrei, ai quali si sono oggi aggiunti cinesi, nordafricani e africani, albanesi, rumeni ecc. In questa città c’è comunque il culto della salute e del corpo, molti abitanti praticano o hanno praticato in gioventù, almeno un po’ di ginnastica.

Gli abitanti sono circa duecentomila , in maggioranza composta da uomini e donne della terza e quarta età. A questo proposito leggevo che finalmente la città ha il suo bel primato.

Una ricerca internazionale del Mc Kinsey global institute assegna a Trieste il primo posto per il numero di anziani, di età superiore ai 65 anni, presenti.

Sono tutti pensionati - Trieste è una città assistita, dall’Inps - affollano le strade cittadine, i mercati e supermercati, i bus e pretendono che tutto gli sia dovuto, vivono generalmente soli e, purtroppo, da soli spesso muoiono senza che nessuno se ne accorga.

La città è solo una stretta striscia di terra, con pochi spazi nei quali girano troppe auto, la benzina costa ancora poco nella vicina Slovenia, ma soprattutto è la città dei motorini. Tutti vanno sulle due ruote, intere strade  sono chiuse per consentire la sosta dei motorini, i morti negli incidenti stradali sono soprattutto motociclisti.

Una città rumorosa e disordinata, un traffico congestionato, macchine in sosta in doppia e tripla fila. E’ la città delle Sirene, ma non le sirene quelle di mare, metà donne e metà pesce, o quelle di Ulisse, che attraggono i naviganti con le loro voci, ma proprio le sirene dei mezzi di soccorso, soprattutto ambulanze, e di polizia e carabinieri, che per qualsiasi cosa inseriscono, tanto che ci sono più sirene in questo angolo di Italia che a Milano o Roma.

Il triestino autoctono , ma anche chi viene ad abitarci da fuori, ha un atteggiamento particolare, assume comportamenti singolari, si atteggia a cittadino di una grande metropoli, ma alla fine vive  di assistenza – visto che son tutti pensionati anche giovani -  e rassegnazione, spesso invidiosi dei friulani più attivi e motivati, e appoggiati da politici di spessore, che sono più considerati. Perennemente in polemica con i friulani che considera “campagnoli” e con sloveni, croati e, in generale, quelli dell’est, salvo poi ad andare in Friuli, in Slovenia, in Croazia, per “magnar e bever”.

Il triestino veste generalmente come gli capita, salvo ovviamente le eccezioni di chi esagera, al contrario, nell’abbigliamento ricercato.    

Il triestino parla, generalmente, l’unica lingua che conosce, cioè il dialetto, anche con chi viene da fuori, convinto che tutti debbano capirlo, e non fa nessun sforzo per tentare di parlare in “lingua”: in qualsiasi  ufficio pubblico, o anche negozio, devi prima fare un corso accelerato di dialetto.

Qualche volta anche qui si incontra qualcuno che riesce a parlare italiano, ma sono generalmente persone che vengono da fuori, e anche triestini che sono riusciti ad allontanarsi dalla città per lavoro in altre città o all’estero, e tornano di tanto in tanto. Il peggio del peggio è costituito da quelli che vengono soprattutto dal sud e parlano nel dialetto locale, non si sa se ridere o piengere.

Da Trieste non è facile allontanarsi, ovviamente per quelli che ci sono nati, ma anche per coloro che  venuti da fuori, non ce la fanno poi ad andarsene; eppure, chi va via, si realizza meglio in ogni settore, nel lavoro, nell’arte e in tutti gli altri campi.

Alta è la frequentazione delle osterie e dei “buffet”, dove bevi un buon bicchiere di vino fin dal mattino, accompagnandolo con vari assaggini. I triestini,in verità, sono anche assidui frequentatori e intenditori di caffè, che può assumere varie forme e denominazioni:  nero, lungo o corto, in tazza o bicchiere, mentre non esiste il classico cappuccino, ma il “capo”, che è il caffè macchiato e il “gocciato”.

Trieste è conosciuta in Italia solo d’inverno, quando su tutti i TG, appaiono le immagini di questo vento, la bora, che soffia anche a più cento all’ora, e molti si chiedono come sarà.

Le previsioni del tempo nazionali, a Trieste ci azzeccano raramente, diceva un mio conoscente che, per averle più esatte, bisogna vedere quelle della TV di Capodistria!

Generalmente il triestino “ vero”, non può lavorare tutto il giorno né studiare, non ha tempo da perdere, e anche nelle brevi pause “deve” andare a Barcola.

Si chiama così il lungomare  occidentale, sulla strada che porta al “castel de Miramar” e poi sulla costiera fuori città ,

Andare a Barcola, come andar a “magnar in Jugo”, è un rito al quale nessun abitante di TS può rinunziare, almeno una volta bisogna farlo, d’estate come anche d’inverno.

L’impegno maggiore, il pensiero che domina la mente del triestino  è rivolto al sole. Quando c’è il sole, anche d’inverno, il triestino – potendolo fare e se non è costretto dagli orari di lavoro - lascia tutto, e corre a Barcola..

Qui c’è un rapporto speciale e ravvicinato con il mare e con il sole, i triestini sono adoratori del Sole e lo seguono lungo il suo corso, con l’asciugamani o il lettino, da oriente a occidente..

Andar al bagno” è l’espressione usata per dire andare al mare, ma – spiacente di deludere i soliti triestini che pensano di essere unici - non è un espressione tipica di quì, ma è tipica dei posti di mare:  ad esempio. anche a Napoli si dice “ jamm’o’ bagno “( andiamo al mare), mentre andare al mare è invece tipica degli abitanti dell’entroterra

A Barcola  i triestini sono tutti uguali, tutti in mutande, c’è la vera democrazia, non riconosci il disoccupato dal professore,  l’operaio dal professionista.

Tutto il marciapiede del lungomare, un tragitto di circa 2 km, offre la visione della giornata della popolazione triestina. Ci si va con il bus, con l’auto o con lo scooter, muniti sempre di lettino regolamentare. L’auto diventa spesso come il proprio spogliatoio o magazzino, e resta lì ferma tutta l’estate per paura di perdere il posto. C’è tutto l’occorrente per il mare, sempre anche d’inverno, non si può mai sapere può capitare una bella giornata di sole e bisogna essere pronti: lettino, asciugamani, sedioline, costumi e mutande di ricambio e ciabatte, ombrellone e materassini, bocce e carte da gioco per passare il tempo.

La mattina è, in generale, degli anziani, dai 60/70 in su, vanno alle 7, si tuffano in un mare -ovviamente fresco -, qualcuno ci resta pure, e si ritirano alle 11. Dopo quest’ora, avviene spontanea una precisa suddivisione: in la pineta le famiglie, sulle terrazze dette “topolini” ( sembra che il nome derivi dal fatto che la loro forma ricorda le orecchie di Topolino, il personaggio Disney) i ragazzini adolescenti fino ai 18 anni, sui marciapiedi coppie o single di media età con l’immancabile lettino,  tavolino, sedie e carte da gioco, sulle terrazze del bivio in genere single o coppie medio/ giovani.

Dal primo pomeriggio arrivano i “veri”, cioè commesse e commessi nell’intervallo della chiusura dei negozi, studenti o nullafacenti,  donne e uomini  palestrati, abbronzatissimi.

Dopo le 18, si può incontrare qualche straniero, in genere professori o ricercatori del vicino centro di ricerca del Miramare

Tutti si spogliano e si rivestono senza alcun problema,  stanno uno incollato all’altro, ma non si parlano e non si guardano, spesso con libro o radiolina con auricolari, e in alcune terrazze, trovi anche gli appendini privati messi li dagli habituè.

Fino a poco tempo fa non erano ammesse persone estranee né turisti, oggi può capitare di vederne qualcuno, ma sopportato a malapena

La domenica e altri giorni festivi d’estate , la pineta, bellissima in primavera e autunno, diventa zona di occupazione,  ritrovo di tribù più o meno numerose che si accampano lì per tutto il giorno. Arrivano – ovviamente di mattina all’alba i più attenti - armate di lettini, sdraio, asciugamani, materassini gonfiabili e canotti, tavolini e sedie dove poter mangiare tutto quello che si son portati da casa, cucinato e non, borse frigo con birre e vino, giochi vari, cani grandi e piccoli,.ovviamente tutti, donne uomini, anziani e bambini si spogliano in strada senza alcuna preoccupazione e/o vergogna:  Poi si stendono tutti sull’asfalto o su quello che resta di un prato, e vi giacciono contenti respirando il gas dei tubi di scappamento delle auto

 La sera la pineta sembra un campo di battaglia. Poi  si parla del sud!.

Un turista o comunque chiunque arriva in questa città la prima volta e si trova davanti uno spettacolo del genere, come dicevo all’inizio di questo racconto, resta quanto meno disorientato.

Trieste non è mai stata una città turistica, anche se ultimamente stanno cercando di cambiare, ma mancano la mentalità e volontà, i negozi son chiusi, fino a poco tempo fa la domenica tutti i ristoranti del centro erano chiusi, restavano aperte solo le pizzerie gestite dai soliti meridionali.

Il turismo a Trieste è quello “mordi e fuggi”, due o tre giorni al massimo, visto il castello di Miramare e S.Giusto, un giro per la piazza Unità e il lungomare.

Ultimamente in piazza Unità hanno esposto un megayacht, pensando che comunque potesse diventare motivo di attrazione o di conoscenza della città.

Il commento è stato: “ una operazione pacchiana come tutto ciò che si fa a Trieste in materia di promozione turistica”.

Le operazioni pacchiane comunque non sono una novità:  quella rara volta che attracca una nave da crociera, l’arrivo veniva accolto da fuochi d’artificio e dalla banda paesana.

I crocieristi apparivano sconvolti da queste iniziative, mentre salivano sui bus che li portavano in giro soprattutto fuori città. Da quali bus? Quelli sloveni, più economici e più disponibili..

 

 

 

 

 





venerdì 12 ottobre 2012

un bell'appartamento


La casa, l’ appartamento o la villa, o villetta, è sempre un elemento  essenziale  nella vita delle persone. Sia in affitto sia in proprietà, è il rifugio, la tana, costituisce  un obiettivo che prima o poi tutti vorrebbero raggiungere.

Il condizionale, oggi, è d’obbligo, data la crisi economica, i prezzi esorbitanti ed esagerati, i mutui impossibili, che non consentono spesso di realizzare quell’obiettivo ovvero lo raggiungono a costi altissimi.

C’è invece chi la casa la trova  senza spesa e senza pensarci molto.

Non tutti sanno che alcuni  funzionari dell ‘Amministrazione dello Stato, e  delle forze armate e della polizia, hanno “diritto” a un appartamento gratuito:  il prefetto, il questore, il colonnello o il generale ecc.. e, tra gli altri, anche il direttore del carcere.

Già prima di iniziare quel lavoro, mi era stato detto che il direttore: “ aveva la casa gratis! “ .

Il che, secondo qualcuno, era un gran beneficio: “risparmi i soldi di un affitto e quant’altro!”

Arrivato nella mia prima sede, quella notizia fu confermata.

Lì, il direttore aveva una splendida casa, con garage e giardino annesso, che si affacciava su una bella piazza alberata, al centro della città.

Circa duecento metri quadri, due ingressi, uno sull’esterno, indipendente, e un altro dal quale poteva raggiungere, dall’interno, l’ufficio.

Nel giardino, e nella abitazione, venivano accompagnati, per lavorarci come giardiniere e anche come pulitori, muratori, idraulici, ecc.., alcuni detenuti! Erano autorizzati? E da chi? E pagati come, e da chi? All’epoca non capivo, non immaginavo, poi seppi: dallo Stato! i detenuti ammessi ad attività lavorative erano – e sono – pagati secondo la normativa vigente, all’epoca secondo il regolamento carcerario del 1931 e dopo in base alla legge 354/75. E quelli che andavano nel giardino del direttore, o a fare i pittori o gli idraulici, erano tra questi? E un abuso? Forse, ma lo facevano tutti! Non solo, ma al Ministero, a Roma, tutti ne erano a conoscenza.

Nell’appartamento, poi, tutto era pagato dallo Stato, tranne una specie di forfait per le spese – acqua, luce, gas - quando ci si ricordava di pagare o quando,  chi aveva la contabilità, timidamente presentava al direttore il conto, e quando il direttore era onesto! All’epoca non c’erano i contatori personali, intestati a chi fruiva dell’alloggio. Una pacchia!

Questi, e altri, costituivano una specie di “benefit”, non proprio legittimi secondo me, ma naturalmente connessi alla funzione e alla titolarità di una Direzione.

Ma c’era una legge che regolava questa situazione?  Il R.D. 30 luglio 1940, n.2041, all’articolo 116 disponeva che: “ hanno diritto all’alloggio “gratuito” nei locali di pertinenza del patrimonio dello Stato in uso alla Direzione generale degli istituti di prevenzione e di pena…..i funzionari di ruolo del’Amministrazione “titolari o reggenti di direzioni”. Come si vede la legge parla di gratuità, ma solo per l’alloggio e non altro, per cui era evidente che tutte le spese dovevano essere a carico di chi ne fruiva.

Non solo, ma secondo quanto previsto dall’art.117 del regolamento per il Corpo degli agenti di custodia, l’alloggio gratuito di servizio, spettava obbligatoriamente, e spetta oggi in base alla legge 395/90 , anche al comandante degli agenti di custodia, oggi reparto di polizia penitenziaria.

Anzi, dove ci sia un solo alloggio, non è il dirigente ad avere il diritto di occuparlo, ma il comandante che ne ha non il diritto,” ma l’obbligo”.

Pochi funzionari dello Stato avevano ed hanno diritto all’alloggio gratuito, ad es. il prefetto, il questore, il comandante dei CC e il Direttore del carcere. Come si vede sono tutti funzionari che, in qualche maniera, hanno a che fare con la criminalità, l’ordine pubblico e la sicurezza; e ci sarà un motivo.

Non era e non è un motivo di prestigio, come pensano alcuni; alla base, secondo me, c’è solo la necessità di avere quelle persone a disposizione 24 ore su 24, con una reperibilità continua e gratuita. Sulla reperibilità si dovrebbe aprire un lungo discorso a parte.

Sapendo che il direttore è lì, nella casa dentro al carcere,  chiunque si sentiva autorizzato a chiamarlo a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno, di domenica e festivi, anche dall’esterno, dal Ministero, dalla prefettura , dalla questura ecc. il direttore praticamente viveva – e vive - in simbiosi con il carcere.

Se doveva allontanarsi per una gita o semplicemente per andare al cinema o fare quattro passi, doveva essere reperibile, ma come poteva esserlo? Non c’erano telefoni cellulari e neanche i cerca/persone; c’era qualche collega che, ogni ora, telefonava al carcere per sentire se era tutto a posto.

Erano altri tempi, ma, anche se lentamente, molte cose incominciavano a cambiare.

Fu disposto l’obbligo dei contatori intestati all’utente, come un qualsiasi cittadino, anche se in alcune sedi le vecchie abitudini tardarono ad essere abbandonate. I vecchi direttori, gli anziani impiegati, i marescialli erano ormai mentalmente e psicologicamente abituati a quel sistema, e fu solo l’arrivo di giovani dirigenti, e nuovo e giovane personale a modificare l’andazzo:  ma, purtroppo,  da quel che so, ancora fino a poco tempo fa, c’era ancora qualcuno che faceva il furbo.

Ma, come erano questi alloggi? Quello che colpiva – e colpisce di più – è la grandezza, appartamenti enormi, spesso più simili a caserme, grandi sale di rappresentanza, cameroni e grandi corridoi, fatti e mantenuti spesso malissimo, ma ristrutturati con miliardi di soldi pubblici, fatti e rifatti secondo le esigenze del dirigente del momento, e della composizione della famiglia, moglie, uno o più figli.  In alcuni casi, da uno se ne potevano fare almeno due.

In un posto del genere, non esiste più alcuna vita privata, detenuti e personale sanno tutto di ogni minuto della vita del direttore e famiglia, i figli crescono nelle galere, e le mogli e le figlie, per non parlare delle donne direttori, sono oggetto di attenzioni e commenti da parte di un ambiente sostanzialmente maschile e maschilista.

Non è niente se almeno c’è un ingresso indipendente, ma nella maggior parte dei casi, gli accessi sono tutti sorvegliati da telecamere e anche da sentinelle armate, e in altri casi, devi addirittura entrare nel carcere per poi raggiungere l’alloggio.

E ci sono poi quei direttori che, o perché trasferiti o perché pensionati non si decidono mai a lasciare l’alloggio, e pretendono di continuare ad abitarlo e a non pagarlo, pur non essendo più titolari della direzione.

Personalmente ho preferito, appena possibile, e visto che non ero obbligato, pagare l’affitto per un modesto appartamento,  e condurre una vita privata più normale.

E, per fortuna, molti colleghi e colleghe stanno facendo questa scelta.