mercoledì 18 ottobre 2017

Ponti di Napoli, la Maddalena

Ponti a Napoli

Ponte” si definisce quella “struttura che consente l'attraversamento di un corso d'acqua o il superamento di altri ostacoli”. Meglio ancora la :” struttura che consente a vie di comunicazione terrestri l'attraversamento di corsi d'acqua o di avvallamenti”(Devoto-Oli) .
Ancora più specifico, secondo Treccani : “Manufatto di legno, di ferro, di muratura o di cemento armato che serve per assicurare la continuità del corpo stradale o ferroviario nell’attraversamento di un corso d’acqua, di un braccio di mare, o di un profondo avvallamento del terreno”.
Napoli è una città di mare, c'è tanta acqua salata, c'è un magnifico Golfo conosciuto in tutto il mondo, ma non mi risultano “bracci di mare” nel suo significato di stretto, o canale o insenatura profonda e allungata (De Mauro). La città non ha neppure acqua dolce, cioè non ci sono corsi d'acqua, fiumi.
Però ci sono ponti, alcuni ancora utilizzati, altri di cui si è perso anche il nome, altri ancora il cui ricordo è rimasto nella toponomastica della città. Come spiegarci questa stranezza? Forse ci sono altri ostacoli da superare? Certamente sì: ostacoli come avvallamenti, dovuti alla particolare morfologia del terreno dove la città fu fondata e costruita, fatta da colline di diversa altezza, valloni, abbassamenti e innalzamento di terreno, ripide salite e discese.
Ma...in città ci sono zone dove non risultano altri ostacoli e tanto meno fiumi, dove esistono vie o piazze, palazzi, che chiamiamo ponte di....., ponte de....... E allora? Come la mettiamo?
A un visitatore che chiede di vedere, per esempio, il ponte della Maddalena che gli raccontiamo? E il ponte di Tappia? Chi sa dare una risposta esauriente? La risposta non è difficile, è solo lunga perchè bisogna tornare indietro nel tempo, dove più, dove meno. E inizio dalla Maddalena.
Ponte della Maddalena

L' area orientale dell'antica Neapolis era raggiungibile da tre Porte, la Nolana, la Herculanense o Furcillense e la più nota Capuana. Oltre queste porte c'era il nulla: foreste, sentieri, acquitrini e paludi, alimentati da fiumi che sfociavano a mare, forse qualche ponticello.
Sui corsi d'acqua gli storici e gli archeologi concordano su una cosa: questi fiumi scorrevano con forza intorno alle antiche mura della città, secondo alcuni alimentati da sorgenti della Bolla sul monte Somma ( Vesuvio), secondo altri invece dalle acque delle colline di Capodimonte e della Sanità. Secondo alcuni, i fiumi erano due: a nord era il Clanis, che proseguiva a oriente in una zona paludosa, fuori porta Capuana e verso Capodichino.
Fontana del Sebeto
Dal termine Clanis, poi trasformatosi in Clanio, deriverebbero – secondo qualcuno - i termini “lagni”, i “regi lagni”, quei canali rettilinei, per lo più artificiali, che attraversano Comuni della città metropolitana di Napoli e delle province di Caserta, Avellino e Benevento. Il Sebeto invece scorreva verso la pianura che oggi è Toledo e sfociava nella zona tra piazza del Plebiscito sotto Pizzofalcone e la piazza del Municipio.
Secondo altri, era un solo fiume, il Sebeto, proveniente dalle sorgenti della Bolla sul monte Somma, che giunto a Napoli, probabilmente si divideva in due rami principali che sfociavano l’uno nella zona di piazza del Municipio e l’altro in quella orientale fuori porta Capuana. La parte orientale scorreva in quella che oggi è via Foria, lambendo le mura a nord della città e ricevendo acqua e detriti dalle colline della Sanità e Capodimonte. ( nella foto la fontana dedicata al fiume Sebeto)
Al di la di queste diverse opinioni, resta il fatto che, nel V° secolo a. C. e per tutta l'epoca romana, c'erano corsi d'acqua a Napoli, che esigevano la costruzione e quindi la presenza di ponti.
Nell’epoca romana imperiale, la zona orientale era stata bonificata e resa abitabile e percorribile. Poi, dopo l'impero, l'assenza di manutenzione, la decadenza e la mancanza di validi tecnici, provocarono l'abbandono dell' area e il ritorno delle paludi.
Restava per fortuna in piedi, anche se malmesso, qualche ponte che consentiva l'attraversamento da e per la città. In particolare esisteva già in epoca romana un ponte sulla foce del fiume, ma non ne conosciamo il nome. Sappiamo invece che nel XII secolo, il pons paludis, dopo l’assedio della città da parte del normanno Roberto il Guiscardo del 1078, prese il nome di ponte Guizzardo.
Ponte della Maddalena nel '700
La foce del Sebeto era sempre stata ricca di terreni fertili e si prestava sia alla coltivazioni che all’allevamento, in particolare di bufali, sfruttati per la produzione di formaggi e latticini. Nei pressi del ponte lavorava un mulino e vi furono trasferite molte attività che non trovavano posto in città.
Nel corso dei secoli successivi il fiume iniziò un lento ma costante interramento. Quel ponte sulla foce fu chiamato della Maddalena, dopo l’alluvione del 1566, in onore di una chiesa del XIV secolo, che si trovava nei pressi ed era dedicata a Santa Maria Maddalena ( nel dipinto).
Nel XVIII secolo il ponte della Maddalena era formato da cinque grandi arcate, con quella centrale più ampia rispetto alle altre, aveva all’ingresso due edicole alquanto simili, formate da colonne di marmo bianco con un frontone triangolare. Sul lato sinistro vi era la statua di San Giovanni Nepomuceno, patrono di tutti coloro che rischiano di annegare. A destra c'era una statua di San Gennaro, realizzata nel 1768. Nel 1799 vi si svolse l'ultima battaglia tra le truppe della Repubblica Partenopea, rimaste senza l'appoggio francese, e quelle sanfediste del Cardinale Ruffo, che sancirono la fine della Repubblica Partenopea. Il ponte fu riempito di forche e di impiccati.
Nel 1875 il ponte fu restaurato ed abbassato per consentire un servizio di omnibus tra Napoli, Largo San Ferdinando e Portici. Quì, ai Granili, gli omnibus cambiavano le ruote e proseguivano su rotaie fino a Portici, come un tram.
Prosciugate le paludi, scomparso il fiume, la zona subì una edificazione selvaggia, oggi è densamente abitata e trafficata, e il ponte esiste ormai solo nella toponomastica della città.






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